Attualità
Direttiva CSRD 2025: cosa cambia davvero per le imprese e come prepararsi
Negli ultimi anni, si è parlato molto di sostenibilità. Ma con l’arrivo della Direttiva CSRD 2025, la questione non è più solo etica o d’immagine: diventa una regola, e una piuttosto impegnativa.
Le imprese europee si troveranno presto a dover raccontare se stesse in modo diverso. Non più solo attraverso bilanci e numeri economici, ma anche attraverso i propri impatti su ambiente, persone e governance. È un cambio di passo che non riguarda solo le multinazionali, ma anche molte aziende italiane di medie dimensioni saranno coinvolte, direttamente o come parte di filiere più grandi.
Cos’è la Direttiva CSRD e perché nasce
La Corporate Sustainability Reporting Directive è una normativa europea che ridefinisce il modo in cui le imprese devono rendicontare le informazioni non finanziarie. In sostanza, obbliga le aziende a rendere pubblici i dati legati alla sostenibilità ambientale, sociale e di governance.
Per anni i bilanci delle imprese hanno raccontato solo una parte della realtà: quella economica. Con la CSRD, invece, entra in scena la rendicontazione di sostenibilità, che affianca a ricavi e costi una serie di indicatori ambientali, sociali e di governance (i cosiddetti criteri ESG). Questo significa che, oltre a mostrare come genera profitto, un’azienda dovrà anche spiegare come gestisce il proprio impatto sul pianeta, sui lavoratori e sulla comunità.
Non è più sufficiente dichiarare genericamente di essere “green” o “responsabili”: le informazioni dovranno essere misurabili, verificabili e comparabili, seguendo standard europei comuni.
Chi è obbligato al rispetto della CSRD
Secondo i dati diffusi dalla Commissione Europea, la CSRD interesserà circa 50.000 aziende in Europa, contro le 11.000 che oggi rientrano nella precedente normativa (Non Financial Reporting Directive). In Italia, l’obbligo scatterà gradualmente:
Dal 1° gennaio 2025 per le grandi imprese già soggette alla normativa precedente;
Dal 2026 per tutte le grandi imprese con più di 250 dipendenti o 40 milioni di euro di fatturato;
Dal 2027 per le PMI quotate in borsa;
Dal 2029, in via opzionale, anche per le PMI non quotate che vorranno anticipare il cambiamento.
Si tratta, di fatto, di un passaggio storico che porterà la sostenibilità al centro dei processi aziendali, non più come scelta reputazionale, ma come requisito normativo.
Cosa cambia nella pratica
La principale novità introdotta dalla CSRD è l’obbligo di redigere un report di sostenibilità integrato nel bilancio d’esercizio. Non più quindi documenti facoltativi o comunicazioni di marketing, ma una rendicontazione ufficiale, sottoposta a verifica da parte di revisori indipendenti.
Le imprese dovranno riferire secondo gli ESRS (European Sustainability Reporting Standards), un insieme di standard tecnici elaborati dall’EFRAG (European Financial Reporting Advisory Group), che definiscono con precisione quali dati e indicatori devono essere comunicati. Le informazioni richieste riguarderanno:
Aspetti ambientali: emissioni di CO₂, gestione delle risorse naturali, uso di energia, ciclo dei rifiuti, politiche di mitigazione climatica.
Aspetti sociali: benessere dei dipendenti, sicurezza, parità di genere, relazioni con le comunità e catene di fornitura etiche.
Aspetti di governance: trasparenza, struttura decisionale, etica aziendale e gestione del rischio.
In sostanza, la CSRD chiede alle imprese di raccontare non solo i risultati economici, ma anche come li ottengono, integrando i valori della sostenibilità nel modello di business.
Doppia materialità: il cuore della nuova direttiva
Uno dei concetti chiave introdotti dalla CSRD è quello della doppia materialità.
Significa che un’impresa dovrà analizzare la sostenibilità da due prospettive complementari:
Impatti dell’azienda sull’ambiente e sulla società (materialità d’impatto).
Impatto dei fattori ESG sull’azienda stessa (materialità finanziaria).
Ad esempio, una catena di produzione ad alta intensità energetica non dovrà solo rendere conto delle proprie emissioni di CO₂, ma anche valutare come i cambiamenti climatici possano influenzare i suoi costi e la sua stabilità futura. Questo approccio spinge le imprese a integrare la sostenibilità nella gestione strategica, e non più a considerarla come un obbligo accessorio.
La sfida principale
L’adozione della CSRD comporta inevitabilmente alcune sfide. Le PMI, in particolare, dovranno affrontare un notevole sforzo organizzativo e culturale: raccogliere dati accurati, standardizzare le informazioni e integrare la sostenibilità nei processi aziendali richiederà investimenti in formazione e digitalizzazione.
Secondo il report “CSRD 2025: tra nuove conformità e sfide per le aziende” pubblicato da Sustainability Award, molte imprese italiane non dispongono ancora di un sistema strutturato per la raccolta dei dati ESG. Inoltre, la complessità degli standard ESRS rischia di rallentare l’adeguamento, soprattutto per le realtà meno digitalizzate.
Ma questa transizione rappresenta anche un’enorme opportunità. Le aziende che sapranno muoversi per tempo potranno migliorare la propria reputazione, attrarre investitori green, accedere a nuove linee di credito sostenibile e conquistare un vantaggio competitivo duraturo.
Come prepararsi alla Direttiva CSRD 2025
Per affrontare la nuova normativa in modo efficace, è fondamentale adottare un approccio strutturato. Ecco alcune azioni strategiche che ogni impresa può intraprendere fin da subito:
Analizzare il grado di maturità ESG dell’organizzazione, identificando punti di forza e aree critiche.
Implementare sistemi di raccolta dati digitali e integrati, in grado di garantire affidabilità e tracciabilità.
Coinvolgere tutte le funzioni aziendali, dalla direzione alla contabilità, dal marketing alle risorse umane: la sostenibilità è un processo trasversale.
Definire obiettivi misurabili, coerenti con gli standard europei e con gli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) dell’ONU.
Collaborare con consulenti e revisori esperti in ESG, per garantire la conformità e la validità delle informazioni comunicate.
L’impatto sulla competitività e sul futuro delle PMI italiane
La CSRD non è una mera imposizione burocratica, ma un nuovo linguaggio di impresa.
Chi saprà adottarlo in modo consapevole potrà distinguersi in un mercato sempre più attento alla sostenibilità e alla trasparenza.
Le PMI italiane, tradizionalmente riconosciute per la qualità e la flessibilità, hanno la possibilità di trasformare la conformità normativa in leva di crescita, adottando modelli gestionali più moderni e responsabili.
Come sottolinea anche la Commissione Europea, il futuro del business passa dalla sostenibilità integrata: non più un valore accessorio, ma il fondamento di una gestione economica duratura.
Conclusione
La Direttiva CSRD 2025 rappresenta una delle più significative evoluzioni del panorama normativo europeo in materia di impresa e sostenibilità. Non si tratta di un traguardo, ma di un nuovo punto di partenza: le aziende sono chiamate a dimostrare, con dati concreti, il proprio impegno verso l’ambiente, le persone e la buona governance.
Adeguarsi richiederà tempo, competenze e strumenti adeguati, ma i vantaggi superano di gran lunga gli sforzi. Chi saprà anticipare il cambiamento non solo eviterà sanzioni, ma potrà costruire una reputazione solida e un posizionamento distintivo in un mercato che premia la trasparenza e la responsabilità.
